INTERVIEW FOR MAX (RCS) – 2012 (ITA)

 
Non è il tuo primo video, giusto?
 
In realtà Orissa è il primo esperimento che faccio col cinema ma si tratta di un sogno che coltivo da tempo, fin da quando suonavo negli InVitro. Una band con la quale abbiamo pubblicato un EP (Canzoni Egregie – Tomobiki / Warner Chappell) e fatto un breve tour assieme a I Cosi, il gruppo dove milita il chitarrista di Morgan. Se guardo indietro mi rendo conto che in fondo già da allora “suonavo dei film”. Il nostro secondo demo s’intitolava “Bella di Giorno”, all’interno infatti c’era un brano dedicato al capolavoro di Bunuel. Sono sempre stato un fanatico di cinema, da ventenne andavo a Cannes senza nessun accredito a imbucarmi nelle proiezioni per poi raccontare le mie impressioni in pure stile Enrico Ghezzi sui tanti blog che ho disseminato per la rete e che nessuno ha mai letto (ride).
 
Come hai iniziato? Hai fatto dei corsi? Qualcuno ti ha insegnato?
 
Non ho fatto nessuna scuola di cinema, credo di essermi formato guardando in media un film ogni due giorni negli ultimi 15 anni. Ho infine trovato il coraggio di produrre e dirigere il mio primo corto dopo aver visto l’ultimo film di Monte Hellman “Road to nowhere”; il protagonista è un regista che ad un certo punto dice: “Sono un regista, non so fare niente, il mio unico talento è quello di saper riconoscere il talento altrui”. 
 
Raccontami il film in due righe…
 
Il film racconta di una donna che è fatta oggetto di un “corteggiamento sonoro” da parte di un misterioso uomo in bianco. Un vera e propria serenata psichedelica fatta attraverso il noto trucco del dito umido fatto strisciare sul bordo dei bicchieri di cristallo. Quando ad un certo punto lei cede alle lusinghe, scopre che si tratta di una forma d’amore “altra”.
 
Come ti è venuta l’idea?
 
L’idea è nata da un mix di suggestioni e un paio di pomeriggi di scrittura automatica. Le due suggestioni sono rispettivamente, un sogno fatto dalla mia compagna e il capitolo sull’Orissa del libro sullo sciamanesimo scritto da Mircea Eliade. Lo stato indiano è l’unico luogo al mondo dove esistono sciamane donne. Solo dopo, mentre montavo il film, mi sono accorto che la storia trattava di suoni che provenivano dal vetro, proprio come il claim della mia ex band, InVitro “il suono che si conserva nel vetro”.
 
Come hai messo insieme la squadra, chi sono gli altri?
 
 
Ilaria Dozio, produttrice esecutiva, è la mia compagna. E’ laureata in movie-design e lei, al contrario di me, sa come si producono i “manufatti audiovisivi” come li chiamano al Politecnico di Milano (ride). Senza di lei il film non sarebbe stato possibile. Non solo per il sogno di cui parlavo prima e per l’oggettiva esperienza pratica ma anche per una serie innumerevole di consigli e suggestioni artistiche che hanno reso il corto indubbiamente più maturo. Omar Cristalli è un video-maker professionista che dopo aver letto lo script ha sposato il progetto portando letteralmente il cinema a casa mia.
 
Quanto ti è costato?
 
 
Poco e tanto. Sono d’accordo con Davide Manuli quando dice che non è vero che con l’avvento del digitale fare cinema oggi costi meno. La pellicola era solo uno dei costi, se avessi avuto trentanni negli anni 70 avrei usato una cinepresa da 16mm invece di una Canon 5D e non sarebbe cambiato tantissimo in termini di budget. La cosa curiosa è che parlando con altri registi esordienti mi sono accorto di essere stato l’unico ad aver pagato anche gli attori. Per il resto sono stato molto attento a tutto, le riprese sono durate due giorni, quando si è trattato di prenotare la cena per lo staff ho scandagliato tutti i ristoranti sui Navigli di Milano spacciandomi per un regista affermato e chiedendo uno sconto del 50% in cambio di una citazione nei titoli di coda e una copia del DVD.
 
Come mai l’attrice belga?
 
Quando ho scritto la sceneggiatura non conoscevo praticamente nessun attore/attrice. A Milano ho sempre e solo bazzicato la tribù della musica e mai del teatro o del cinema, ammesso che ne esista una. Violaine Weissmann è arrivata completamente inaspettata. Si è palesata durante un matrimonio di amici comuni in Puglia. Lei è una forza della natura, magnetica anche nella vita reale. Mi ha colpito fin da subito per il suo istrionismo. In poche ore siamo diventati amici intimi e solo alla fine della serata lei ha fatto cenno alla sua carrira d’attrice. A quel punto non ci ho pensato un attimo e le offerto la parte. Mi ricordo che reagì in maniera non propriamente belga, scoppiando in un pianto esagerato.
 
Come vi siete organizzati, etc (raccontami un po’ la lavorazione)… 
 
Ho seguito i consigli dei maestri e per il primo lavoro ho deciso di occuparmi personalmente di quasi tutto quello che c’era da fare, scrittura, regia e produzione. Per il sound-design ho fatto una scelta radicale, tutti i suonini del corto sono stati prodotti attraverso l’uso di bicchieri. Ci siamo trovati nello studio del mio amico Stefano Clessi (Eclectic Circus) e per un pomeriggio abbiamo suonato tutta la cristalleria di famiglia. Quando dico occuparsi di tutto intendo veramente tutto, a metà giornata s’interrompevano le riprese perchè dovevo andare a ritirare le pizze con lo scooter. Preferivo che fossero gli altri a riposarso, in fin dei conti erano loro che lavoravano, io dirigevo (ride…).
 
Dove hai girato il corto?
 
 
Come ti dicevo prima, il corto è completamente girato nell’ex-appartamento in cui stavo in affitto a Milano, in via Guintellino. Si tratta di una casa degli anni 30, abbastanza rara a Milano, di quelle basse a due piani con giardino privato. E’ un classico, anche David Lynch ha girato i suoi primi corti a casa sua, lui addirittura dipinse tutte le mura di nero, noi ci siamo limitati a spostare la mobilia.
 
Quali sono le tre cose fondamentali che hai imparato sulla tua pelle a proposito di “fare un film” e dirigere una squadra?
 
 
1) Rispondere prontamente alle domande dello staff anche se non si è sicuri di quello che si dice
2) Accertarsi che vicino al set ci sia sempre un banchetto colmo di cose buone da mangiare e tanto  caffè
3) Se ci si trova di fronte ad una scelta, scegliere sempre l’opzione più folle
 
Non vorrei essere invadente ma a Bruxelles ci sei per qualche ragione legata al lavoro?
 
Sì e no. Sono un italiano atipico a Bruxelles, qui i nostri connazionali di solito vengono per lavorare alla Comunità Europea o al Parlamento. Io e la mia compagna invece l’abbiamo scelta per puro amore dell’atmosfera che si respira da queste parti. Avevamo già degli amici che abitavano qui e venivamo su spesso. L’abbiamo conosciuta così. Non è la classica destinazione dell’italiano esterofilo. Di solito si “migra” verso Londra, Parigi o Berlino. Da un anno e mezzo mi annoto sul cellulare tutte le cose positive che osservo della vita brussellese, potrei annoiarti per ore. Ci tengo a dirti però che, come spesso capita quando si segue l’istinto, il mondo esterno presto o tardi ti ricompensa con dei doni inaspettati. Dopo pochi mesi che vivevo qui infatti ho trovato, in circostanze assolutamente bizzarre, dei collaboratori preziosissimi per alcuni miei progetti. Per ora quindi ci sto bene, domani chissà.
 
Hai provato molti concorsi prima che fosse selezionato in questi?
 
Il corto è completamente autoprodotto ed anche per la distribuzione vale lo stesso discorso. Le possibilità per fare vedere i tuoi film al giorno d’oggi sono innumerevoli, praticamente ogni paesino o sagra della salamella ha il suo festival di cortometraggi. Io ho fatto una scelta piuttosto radicale. Ho deciso di non stampare nemmeno un DVD e di inviare il film solo ai festival che facevano parte dei nuovi circuiti online in cui puoi “up-loadare” il lavoro assieme ad una cartella stampa in pdf. Uno di questi, il più famoso, è withoutabox.com. Zero costi di stampa e di duplicazione, zero francobolli, solo un’accurata selezione dei festival. In totale avrò spedito il corto a una dozzina di festival internazionali non di più, ognuno di essi di solito chiede una fee d’iscrizione che si aggira attorno ai 50 euro.
 
 
Sei andato a vedere qualche proiezione del tuo corto?
 
Sì una volta sola ed è stato durante la rassegna Cortocaffè 2012 del glorioso Caffè Letterario di Roma. Ho suonato e cantato dal vivo in una band per dieci anni e mai ho provato un’agitazione del genere. Dopo la proiezione ti facevano salire per dire due parole e rispondere alle domande del pubblico. Ci mancava poco che mi esplodesse il cuore. E’ stata una serata stranissima. Gli altri corti erano tutti molto narrativi, quasi sempre alla fine della proiezione scoppiava fragoroso l’applauso. Erano quasi tutti costruiti col classico format dei cortometraggi da festival, hai presente? Col “colpazzo” di scena agli ultimi 30 secondi etc… al termine del mio invece ci sono stati circa 5 interminabili secondi di silenzio tombale, dopodichè qualche battito di mani un po’ freddino e nulla più. Ho pensato, “è sicuro!”, “ho fatto un film troppo elitario e menoso”. Durante la serata poi mi sono recato alla toilette e mentre aspettavo il mio turno una ragazza ha iniziato a farmi una serie spropositata di complimenti e domande sul corto, dopo poco mi guardo attorno e mi accorgo che si erano aggiunte un sacco di altre persone, quelli che arrivavano e quelli che uscivano dai bagni, tutti, a poco a poco, si univano alla discussione. Insomma si è creato un vero e proprio cineforum off nel cesso, tutto fatto ragazzi che poco prima, durante il momento ufficiale, non avevano avuto il coraggio di farmi alcuna domanda. Lascio a te le svariate interpretazioni filosofiche, anche maligne, che possono derivare da un aneddoto del genere (ride…).
 
Che altro fa la tua casa di produzione? Hai mai provato a proporre soggetti a case di produzioni più grosse?
 
Sì ho appena finito di scrivere un trattamento per una nuova idea e la stanno vagliando alcune piccole case di produzione qui in Belgio. Il problema coi corti è che non hanno mercato e giustamente non esistono molti produttori interessati all’infuori delle istituzioni più o meno governative. Si lavora per valorizzare un territorio o una tematica sociale. Il mio linguaggio non si adatta molto a nessuna di queste due realtà per questo preferisco autoprodurmi. Se invece si tratta di lungometraggi lo scenario cambia, ma non necessariamente in meglio, anzi. Non ho niente contro il cinema commerciale ma per disciplina di vita personale mi sono imposto di smettere di pensare al pubblico mentre faccio arte. Mi piacerebbe che i miei prossimi film fossero visti da più persone possibile ma questa dev’essere sempre una conseguenza non un obiettivo o peggio ancora un fattore che subentra e devia in qualche maniera il processo creativo.
 
Qualche aneddoto curioso dal set? contrattempi?
 
 
Bah niente di straordinario a parte il fatto che Violaine si è fatta cacciare dall’aereo che la portava a Milano a due giorni dalle riprese (ride). Erano le dieci del mattino, rispondo al telefono e sento una voce straziante che grida “Te lo Jurooo, Davide, Te lo jurooo…c’est pas ma faute!”. Violaine ogni tanto parla spagnolo perchè ha vissuto parecchio in Argentina dove suo padre è stato un fotografo affermato. Ci ho messo parecchi minuti per capire cosa fosse successo. A quanto pare l’è capitato di avere un diverbio piuttosto acceso con una hostess della Easyjet e il comandante alla fine ha deciso di farla scendere. Non ho mai sentito nulla di simile, sublimamente rock n’roll! Se non fosse per il fatto che ci siamo subito dovuti attivare per comprare il volo per il giorno succesivo a tipo dieci volte il prezzo di quello originario (ride).
 
Il tuo regista-guida?
 
Potrei risponderti con uno qualsiasi tra i 3 “ini” (Rossellini, Fellini e Pasolini) e invece scelgo il quarto, Valerio Zurlini. “La prima notte di quiete” è il suo capolavoro.
 
Di quel che hai imparato alla Bocconi (che cosa hai studiato?) che cosa ti è più utile oggi?
 
Ci credi che in sei anni alla Bocconi non ho stretto nemmeno un’amicizia? O meglio nessuna tra gli studenti, tra i professori invece conservo il ricordo di svariati incontri illuminanti. C’è una dicotomia forte tra chi insegna e chi impara in quell’università. I primi, almeno quando ci andavo io, noiosissimi, i secondi dei galantuomini discretamente rivoluzionari.
Mi porto dentro tanti discorsi seri e non demagogici fatti sullo sviluppo sostenibile, la globalizzazione e la creatività. Un giorno, il mio professore preferito Gabriele Troilo ha addirittura invitato uno dei disegnatori di Dylan Dog per una testimonianza. Adesso questi corto-circuiti sono diventati all’ordine del giorno ma una volta e, soprattutto alla Bocconi, erano abbastanza rari.
Il momento topico ovviamente è stato quando ho mandato una mail a Oliviero Toscani per chiedergli un’intervista da inserire nella mia tesi dedicata alle sue campagne pubblicitarie per Benetton. Il giorno stesso mi ha chiamato mentre ero a tavola a mangiare la pastina con i miei (ride)…”Pronto? Cosa vuole la Bocconi da me?”. Dopo due giorni ci siamo dati appuntamento in uno studio di Milano ed è stata magia pura. In svariate interviste lui ha sempre dipinto i bocconiani come il male della società italiana. Chissà cosa penserà adesso di questo attuale governo presieduto dal rettore della Bocconi dei miei tempi…
 
Prossimi progetti?
 
Come ti dicevo ho scritto un secondo soggetto, questa volta un po’ più complesso, potrebbe anche diventare un lungo, impossibile quindi da autoprodurre al 100%. Sto cercando qualcuno che ci creda, ci vorrà del tempo, non escludo di girare qualcos’altro in modalità “guerriglia” durante l’attesa. Inoltre per tenermi allenato ogni mese mi diverto a creare un “video-haiku” e a pubblicarlo sul mio sito tramite Vimeo (http://davidesada.com). In sostanza si tratta di una versione video della nota forma poetica giapponese composta da 17 sillabe divise in 3 versi versi, 2 da 5 e uno centrale da 7. I secondi di “girato” sono le mie sillabe e i versi, gli stacchi di montaggio.